venerdì 22 maggio 2015

L'Isis, dopo Palmyra, conquista la frontiera con l' Iraq e controlla il 50% della Siria




DAMASCO, 22 maggio - I jihadisti dello Stato islamico hanno raggiunto l’ultimo tratto della frontiera tra Siria e Iraq controllata dalle forze governative. Lo afferma l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dopo il ritiro dell’esercito dal valico di Al Tanf e l’avanzata dei combattenti nella città di Tadmor (Palmyra). Lo stato islamico ora controlla più di 95mila chilometri quadrati della Siria, il cinquanta per cento del suo territorio, sostiene l’Osservatorio. I miliiziani occupano le province di Deir Ezzor e di Raqqa, e hanno una forte presenza a Hasakeh, Aleppo, Homs e Hama.
Ieri le Nazioni Unite hanno ricevuto testimonianze secondo cui le forze siriano hanno impedito ai civili di lasciare Palmyr, dopo la conquista da parte dei jihadisti, e hanno espresso preoccupazione per i siriani rimasti intrappolati nella zona. Molti testimoni hanno riferito di “esecuzioni sommarie” e di perquisizioni casa per casa da parte dei jihadisti alla ricerca di persone vicine al governo. Secondo l’Onu, circa un terzo dei 200mila abitanti della città potrebbero essere fuggiti durante i combattimenti tra forze governative e jihadisti nei giorni scorsi. Ma alcune “fonti credibili” hanno raccontato all’organizzazione che le forze siriane presenti in città avrebbero impedito ai civili di fuggire prima della conquista dei jihadisti.
Secondo Ravina Shamdasani, portavoce dell’Onu a Ginevra, diverse persone hanno raccontato che gran parte della popolazione ha potuto lasciare la città solo tra il 20 e il 21 maggio, quando anche le forze governative si sono ritirate. La tv di stato aveva affermato invece che i soldati si erano ritirati solo dopo aver assicurato la fuga della maggior parte della popolazione.
mostra la decapitazione di soldati e miliziani lealisti siriani dentro e fuori la città posta tra Damasco e la regione dell'Eufrate. Non è possibile verificare l'autenticità delle immagini, che mostrano corpi a terra, senza testa, immersi in un bagno di sangue. In alcuni filmati si vedono teste appoggiate a terra e vicino i documenti della vittima. "Apostati uccisi a Palmira", recita la scritta in arabo in sovrimpressione.

Numerosi account di seguaci dell'Isis danno risalto alle immagini e ai video, inneggiando alla "liberazione della Wilaya di Homs", usando il termine islamico per indicare la regione (wilaya) del califfato. Sui social network in queste ore è sempre più popolare l'hashtag in arabo: "Palmira sotto l'autorità del califfato".
"Mi appello alla comunità internazionale affinché faccia tutto ciò che è in suo potere per proteggere la popolazione civile e tutelare il patrimonio culturale unico di Palmira": lo dice la direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova. "Quello che sta succedendo è molto pericoloso. Sappiamo già che ci sono state delle distruzioni, ci sono delle colonne che sono cadute. C'è stato un bombardamento", aggiunge.


"Sono inquieta - prosegue - perché purtroppo abbiamo già visto la distruzione di siti del patrimonio mondiale, siti di eccezionale valore universale a Nimrud, Adra... Abbiamo visto il saccheggio del museo di Mossul... Palmira è un gioiello, la 'Venezia di sabbia', come dicono gli esperti. Siamo molto preoccupati per le azioni militari e per un'eventuale distruzione di questo sito magnifico".

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La percezione di un dramma




                                di BERNARD GUETTA* (da Internazionale)

Un’immagine è sufficiente a cambiare la percezione di un dramma. È bastato che i jihadisti dello Stato islamico si impadronissero di Palmyra e di uno dei più bei siti archeologici del mondo perché la guerra in Iraq e Siria tornasse d’attualità, con una forza che i massacri quotidiani, la tortura generalizzata e le città distrutte dalle bombe non avevano mai avuto.
A quanto pare le pietre sono più efficaci delle vite spezzate, e così il contrasto tra duemila anni di civiltà e l’emergere della barbarie ci permette di vedere le cose per quello che sono: una tragedia inconcepibile.
Un rapido colpo d’occhio alla mappa è sufficiente a capire le situazione attuale: i fanatici sunniti dello Stato islamico controllano ormai metà della Siria e le più importanti regioni sunnite dell’Iraq. Questi territori sono confinanti e la frontiera tra i due paesi è puramente simbolica. I jihadisti sono pericolosamente vicini sia a Damasco sia a Baghdad, dunque hanno già raggiunto il loro primo obiettivo: controllare un territorio sunnita paragonabile a uno stato a cavallo tra Iraq e Siria.
In realtà la metà della Siria controllata dai jihadisti è sostanzialmente desertica, ma resta il fatto che i vertici dello Stato islamico incassano tasse, si arricchiscono grazie al traffico di reperti archeologici e petrolio e si sono appropriati delle attrezzature degli eserciti di Iraq e Siria, mentre i loro avversari sono chiaramente in crisi.
Il regime siriano è penalizzato dalle divisioni, dal rifiuto della coscrizione e dalle sue casse ormai vuote che l’Iran non riesce più a riempire. L’insurrezione democratica è l’ombra di se stessa perché il rifiuto degli occidentali di aiutarla ha chiaramente compromesso la sua azione. La Siria è sostanzialmente spaccata e l’Iraq unito è solo un ricordo del passato. Oggi esistono tre diversi Iraq: quello curdo, quello sunnita e quello sciita.
La conquista di Palmira dimostra che il Medio Oriente rischia seriamente di sprofondare in una guerra dei trenta o dei cent’anni la cui posta in gioco sarebbe la ridefinizione delle frontiere attorno a stati identitari e il rapporto di forze regionale tra le due correnti dell’islam (sciita e sunnita) e i rispettivi paladini, Iran e Arabia Saudita.
Per fermare questa spirale bisognerebbe che i sunniti permettessero all’Iran sciita di impiegare le sue truppe contro lo stato islamico, che l’Iran accettasse di scaricare Bashar al Assad e di consentire una transizione politica in Siria, che la Russia smettesse di fare ostruzionismo al Consiglio di sicurezza per affermare la sua potenza, che l’Europa si decidesse ad avere un ruolo attivo e che gli Stati Uniti definissero la loro politica mediorientale.
Niente esclude che tutto ciò possa accadere, ma per il momento uno sviluppo di questo tipo appare ancora lontano.

* È un giornalista francese esperto di politica internazionale. Ha una rubrica quotidiana su radio France Inter e collabora con Libération

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