domenica 1 aprile 2012

Dimenticare Timbuktu, perla del deserto



BAMAKO (Mali) -Venti di guerra soffiano in Mali  e si combatte anche nella mitica città di Timbouktu, conquistata forse dai ribelli tuareg che la vogliono capitale del loro stato del deserto. Dobbiamo dimenticarci di Timboctu, noi affascinati dalle letture di Bruce Chatwin. Timbuktu nome evoca mistero e romanticismo, un luogo incredibilmente remoto, quasi irraggiungibile. Forse la Timbuktu a cui pensiamo non esiste più. 

Ma invece c’è, alla periferia meridionale del Sahara, e appena a nord del fiume Niger una città fatta di fango: ha 1.000 anni e una storia gloriosa. Una città che crebbe le sue ricchezze grazie al commercio del sale, di schiavi ed avorio, e per la sua posizione perfetta come punto di partenza ed arrivo delle carovane di tuareg, che gestivano i commerci tra nord e sud Sahara. Città santa per i musulmani, luogo di commerci e piaceri per i mercanti sahariani, immenso Eldorado se visto dal Mediterraneo, altrove mitico e irraggiungibile per gli esploratori, affascinante simbolo di lontananza per i viaggiatori, centro del mondo, del loro mondo, per i suoi abitanti. “Regina delle sabbie”, “perla del deserto”, “Atene africana”: molti sono i nomi dati alla mitica città proibita, sogno e ossessione di tanti esploratori che persero la vita per raggiungerla. Poi René Caillié, un francese travestito da nomade arabo, riuscì a entrarvi nel 1828. Dai suoi racconti emergeva però la delusione per la tristezza e l’inerzia che vi aveva trovato.
Già allora erano lontani i fasti del tempo in cui era la capitale di un grande regno sub-sahariano e il maggior centro culturale dell’Africa occidentale, dove si scambiavano mercanzie, ma soprattutto si incontravano pensieri e culture. La città era divenuta ricca grazie alla sua posizione all’incrocio fra le rotte commerciali che univano l’Africa Nera al Mediterraneo. Lì si incontravano le piroghe cariche d’oro che risalivano il Niger e le grandi carovane che attraversavano il Sahara. Della trascorsa grandezza rimangono oggi solo alcune antiche moschee e un tesoro di preziosi manoscritti. Raggiunse il massimo del suo splendore tra il 1300 e il 1500, quando fu polo culturale del mondo arabo e così ricca d'oro da essere considerata una specie di Eldorado del tempo. È celebre il suo Sultano Mansa Musa che organizzò un  pellegrinaggio alla Mecca con oltre 8000 portatori e centinaia di cammelli.Considerata per le sue favolose ricchezze e inaccessibilità un luogo più mitico che reale, della sua esistenza in Europa  si discusse sino al 1806 quando l'esploratore Mungo Park riuscì a raggiungerla dal fiume Niger , anche se non riuscì a tornare indietro. Il primo che ne diede un resoconto fu come abbiamo appena detto, René Caillieé.
La città è ancora viva in epoca moderna e pur non godendo delle ricchezze materiali di un tempo conserva una piccola parte delle ricchezze culturali dell'epoca, compresi manoscritti dei secoli XIII-XVI  e opere di Avicenna , molti dei quali giunsero qui dalla Spagna in seguito alla Reonquista.
Moltissime delle costruzioni della città sono state erette e costruite col fango, che garantisce una notevole solidità, dato che la città si trova in una regione desertica  e la possibilità che piova è prossima allo zero.
E rimane un melting-pot di razze che ne fanno una città diversa e di difficile decifrazione,  è un’Africa che spiazza anche il moderno viaggiatore. Soprattutto se si è abituati a leggere la storia attraverso i monumenti, che lì non ci sono. O se ci si aspetta l’Africa delle etnie, mentre lì troviamo caste e classi sociali. Con le sue distintive moschee di fango, sale e terra, la città è un anche un importante centro culturale islamico, con circa 700 antichi manoscritti custoditi nella città in una sessantina di biblioteche. Ma oggi i contrasti sociali rendono meno attraente Timbuktu, c'è molta povertà e le case sembrano quasi sparire per l'avanzata del deserto. Il degrado continua, fino a poco tempo le zone attiravano i turisti, ma oggi, dopo un'ondata di rapimenti da un gruppo legato ad al-Qaeda i viaggiatori occidentali sono spariti, e il declino di Timbuktu è evidente. Però, avvolta da quest’aura di lontananza, offre l’occasione di essere “scoperta” con ritmi e tempi più lenti di quelli normalmente concessi dai viaggi mordi e fuggi: se si rinuncia al volo Bamako-Timbuctu, ma vi si giunge attraversando il deserto o risalendo le anse del Niger su una tradizionale pinasse, si scoprirà che nel viaggio l’importante non è solo arrivare, ma soprattutto “andare verso”.

O meglio, quest’ultima frase va declinata al passato. In questi giorni il quadro si è ulteriormente aggravato: la guerra civile sta infiammando il Mali, dopo il colpo di stato avvento la settimana scorsa, e i ribelli di etnia tuareg l’hnno presa d’assedio e conquistata. E questi ribelli hanno contatti, mai smentiti, con al Qaeda: gli stranieri sono un bottino possibile. Vista la situazione i viaggi sono fortemente sconsigliati, e recentemente gli ultimi turisti erano stati sgomberati dalle forze di polizia e portati al sicuro a Bamako.
Per non correre il rischio di scomparire nel nulla come le nostre due connazionali rapite dai ribelli mesi fa (una più di un anno fa) e non più riapparse.

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