TALLIN, 6 luglio - Mostrare solidarietà con azioni concrete, ma senza farsi davvero carico dei migranti che arrivano a migliaia sulle coste italiane. Sembra essere questo l'imperativo per molti dei ministri dell'Interno europei che oggi sono al vertice di Tallinn, dove l'Italia dovrà fronteggiare una delle sfide più dure. Nonostante il 'no' già dichiarato da Parigi e Madrid alla richiesta di aprire i propri porti ai migranti salvati dalle organizzazioni non governative nel Mediterraneo centrale, Roma è decisa a rilanciare, attaccando questa volta sul versante dell'operazione Triton ma con lo stesso obiettivo: condividere peso e responsabilità delle vite salvate. Il Viminale ha già chiesto un incontro urgente ai vertici di Frontex per rivedere il piano operativo della missione nel Mediterraneo (ora con l'Italia nelle vesti di Paese ospitante e gli altri come partecipanti), ma al quartier generale dell'agenzia Ue, a Varsavia, il clima è di attesa. Il punto, sebbene con una formula vaga, è stato inserito nel piano d'azione della Commissione europea, che formerà la base della discussione, ma tra quanti temono un nuovo "pull factor", e quanti ritengono che così si farebbe rientrare dalla finestra un meccanismo di ricollocamenti volontario già cacciato dalla porta perché incapace di funzionare ("alla fine sarebbe sempre lo stesso gruppetto di Paesi a darsi da fare"), più fonti diplomatiche non nascondono il proprio scetticismo. Altro nodo da sciogliere sarà quello dei contributi degli Stati membri al Fondo per l'Africa. Le risorse dovrebbero servire a mettere in piedi soluzioni sulla sponda sud del Mediterraneo, quelle su cui tutti i 28, a partire dai Paesi 'hardliner' come i Visegrad, hanno sempre detto di voler investire. Al momento però lo hanno fatto solo a parole. Degli 1,8 miliardi di euro chiesti dalla Commissione europea, ne sono arrivati solo 89 milioni, principalmente da Italia e Germania. Mentre un Paese grande e importante come la Francia ne ha versati solo tre: una cifra ridicola. Per dare una misura di quanto la situazione sia surreale, basti sapere che gli Stati si stanno accapigliando da mesi sui fondi per la diaria della guardia costiera impegnata nella formazione in Libia: una battaglia per 163mila euro. Uno stanziamento consistente potrebbe invece fare la vera differenza, sia per la cooperazione con i Paesi di origine e transito dei migranti che per mettere in piedi il centro di coordinamento per l'area di 'search and rescue' della Libia, a cui l'Italia lavora, con l'obiettivo - situazione politica permettendo - di renderlo pienamente operativo nel 2018. E servirebbero anche per convincere la Tunisia (con tutte le cautele richieste dalla difficile situazione politica) a dichiarare a sua volta un'area di salvataggio. Insomma, un'occasione per dimostrare solidarietà anche per quei Paesi come Ungheria, Polonia e Austria che hanno sempre detto di essere disponibili a sforzi economici pur di allontanare il problema dalle frontiere dell'Europa, o per scoprire il bluff.
giovedì 6 luglio 2017
A TALLIN la sfida difficile dell'ITALIA sui migranti
TALLIN, 6 luglio - Mostrare solidarietà con azioni concrete, ma senza farsi davvero carico dei migranti che arrivano a migliaia sulle coste italiane. Sembra essere questo l'imperativo per molti dei ministri dell'Interno europei che oggi sono al vertice di Tallinn, dove l'Italia dovrà fronteggiare una delle sfide più dure. Nonostante il 'no' già dichiarato da Parigi e Madrid alla richiesta di aprire i propri porti ai migranti salvati dalle organizzazioni non governative nel Mediterraneo centrale, Roma è decisa a rilanciare, attaccando questa volta sul versante dell'operazione Triton ma con lo stesso obiettivo: condividere peso e responsabilità delle vite salvate. Il Viminale ha già chiesto un incontro urgente ai vertici di Frontex per rivedere il piano operativo della missione nel Mediterraneo (ora con l'Italia nelle vesti di Paese ospitante e gli altri come partecipanti), ma al quartier generale dell'agenzia Ue, a Varsavia, il clima è di attesa. Il punto, sebbene con una formula vaga, è stato inserito nel piano d'azione della Commissione europea, che formerà la base della discussione, ma tra quanti temono un nuovo "pull factor", e quanti ritengono che così si farebbe rientrare dalla finestra un meccanismo di ricollocamenti volontario già cacciato dalla porta perché incapace di funzionare ("alla fine sarebbe sempre lo stesso gruppetto di Paesi a darsi da fare"), più fonti diplomatiche non nascondono il proprio scetticismo. Altro nodo da sciogliere sarà quello dei contributi degli Stati membri al Fondo per l'Africa. Le risorse dovrebbero servire a mettere in piedi soluzioni sulla sponda sud del Mediterraneo, quelle su cui tutti i 28, a partire dai Paesi 'hardliner' come i Visegrad, hanno sempre detto di voler investire. Al momento però lo hanno fatto solo a parole. Degli 1,8 miliardi di euro chiesti dalla Commissione europea, ne sono arrivati solo 89 milioni, principalmente da Italia e Germania. Mentre un Paese grande e importante come la Francia ne ha versati solo tre: una cifra ridicola. Per dare una misura di quanto la situazione sia surreale, basti sapere che gli Stati si stanno accapigliando da mesi sui fondi per la diaria della guardia costiera impegnata nella formazione in Libia: una battaglia per 163mila euro. Uno stanziamento consistente potrebbe invece fare la vera differenza, sia per la cooperazione con i Paesi di origine e transito dei migranti che per mettere in piedi il centro di coordinamento per l'area di 'search and rescue' della Libia, a cui l'Italia lavora, con l'obiettivo - situazione politica permettendo - di renderlo pienamente operativo nel 2018. E servirebbero anche per convincere la Tunisia (con tutte le cautele richieste dalla difficile situazione politica) a dichiarare a sua volta un'area di salvataggio. Insomma, un'occasione per dimostrare solidarietà anche per quei Paesi come Ungheria, Polonia e Austria che hanno sempre detto di essere disponibili a sforzi economici pur di allontanare il problema dalle frontiere dell'Europa, o per scoprire il bluff.
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