ROMA, 21 settembre - Il Governo lavora all'uscita anticipata delle donne dal lavoro dal 2016 a 62-63 anni con 35 di contributi: si tratta di una nuova opzione donna - spiegano tecnici dell'Esecutivo - che prevedrebbe, invece del ricalcolo contributivo, una riduzione dell'assegno legata alla speranza di vita e pari a circa il 10% per tre anni di anticipo rispetto all'età di vecchiaia.
"Stiamo lavorando sulle riforma delle pensioni. Sappiamo che c'è un aspetto da risolvere legato a uno scalino alto che blocca il turn over introdotto dalla Legge Fornero". Lo ha detto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a Modena. "In questo momento stiamo valutando opzioni e punti di equilibrio assieme al ministro dell'Economia Padoan".
L'intervento per rendere flessibile l'uscita in pensione ci sarà. Ma dovrà essere compatibile con il quadro dei conti pubblici e degli obiettivi definiti dal Def, il Documento di Economia e Finanza con il quale il governo ha definito le stime per il Paese nel prossimo futuro. E quindi non potrà che essere minimo, focalizzato sulle categorie con maggiori problemi. "Sono possibili correttivi per chi è vicino ai requisiti ma in difficoltà con il lavoro", ha spiegato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan prima in un'intervista e poi su twitter. Il gioco di ruolo all'interno del governo non può che vedere il ministro dell'economia nelle vesti del "guardiano dei conti". "Il sistema previdenziale - spiega con un altro tweet - dev'essere legato a durata lavoro e aspettative di vita". In pratica, come aveva spiegato in Parlamento, non sono possibili interventi strutturali e alcune proposte di flessibilità per l'uscita dal lavoro potrebbero essere molto onerose. Ma sull'idea che non si debbano scassare i conti sono d'accordo tutti.
"Stiamo lavorando sulle riforma delle pensioni. Sappiamo che c'è un aspetto da risolvere legato a uno scalino alto che blocca il turn over introdotto dalla Legge Fornero". Lo ha detto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a Modena. "In questo momento stiamo valutando opzioni e punti di equilibrio assieme al ministro dell'Economia Padoan".
L'intervento per rendere flessibile l'uscita in pensione ci sarà. Ma dovrà essere compatibile con il quadro dei conti pubblici e degli obiettivi definiti dal Def, il Documento di Economia e Finanza con il quale il governo ha definito le stime per il Paese nel prossimo futuro. E quindi non potrà che essere minimo, focalizzato sulle categorie con maggiori problemi. "Sono possibili correttivi per chi è vicino ai requisiti ma in difficoltà con il lavoro", ha spiegato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan prima in un'intervista e poi su twitter. Il gioco di ruolo all'interno del governo non può che vedere il ministro dell'economia nelle vesti del "guardiano dei conti". "Il sistema previdenziale - spiega con un altro tweet - dev'essere legato a durata lavoro e aspettative di vita". In pratica, come aveva spiegato in Parlamento, non sono possibili interventi strutturali e alcune proposte di flessibilità per l'uscita dal lavoro potrebbero essere molto onerose. Ma sull'idea che non si debbano scassare i conti sono d'accordo tutti.
"Non c'è alcuna contrapposizione" - spiegano nei due palazzi romani - tra le posizioni del premier Matteo Renzi, che ha dato un'accelerazione sui lavori del mini-cantiere pensioni, e quanto sostenuto dal titolare del Tesoro. Il governo "è coeso e impegnato a trovare soluzioni possibili e compatibili con i vincoli di finanza pubblica". Passare dalle parole ai fatti potrebbe essere meno difficile di quanto si creda. I tecnici erano già al lavoro, ma ora l'indicazione è quella di predisporre un testo per il varo della Legge di Stabilità, il 15 ottobre. I tempi sono stretti e, vista la delicatezza del tema, le norme potrebbero arrivare anche nel corso dell'iter. Certamente non si tratterà di un intervento generalizzato. Si guarderà invece alle donne e lavoratori anziani che hanno perso l'occupazione, con flessibilità mirate. Per le lavoratrici, che nel settore privato dal prossimo anno dovranno uscire dal lavoro con un anno e 10 mesi di ritardo, l'ipotesi allo studio è quella della "riapertura" della cosiddetta Opzione Donna. Consente di andare in pensione con 57 anni d'età e 35 di contributi, ma con tutto l'assegno calcolato col metodo contributivo. Non è un gran vantaggio perché la perdita media potrebbe essere del 25-30%. Ma così, come ha promesso Renzi, una lavoratrice potrebbe decidere di rinunciare a parte della pensione e aiutare i figli a guardare i nipotini. Ci sono poi i lavoratori che perdono il lavoro a pochi anni dalla pensione. In questo caso le misure allo studio sono diverse. Tra queste il cosiddetto prestito pensionistico: è l'anticipo di qualche centinaio di euro per accompagnare l'ex lavoratore e che va restituito quando scattano i criteri per la pensione. Difficili ora interventi più incisivi.
L'ipotesi Damiano-Baretta, di un taglio del 2% per ogni anno di anticipo con un limite dell'8%, e quella sulla "quota 100" tra età e contributi costerebbero rispettivamente 8,5 e 10,6 miliardi. Troppi. Ma certo in futuro il tema potrebbe tornare a proporsi. Aiutano a capirlo alcuni dati del Def. Dopo l'avvio della riforma del 2004 l'età media di pensionamento tra il 2006 e il 2010 è salita a 60-61 anni. Arriverà a 64 anni nel 2020, per poi passare, sempre in media, a 67 anni nel 2040 e infine a 68 anni nel 2050. E, se nulla sarà toccato, il "risparmio" di spesa ottenuto sarà, tra il 2004 e il 2050, pari a 60 punti percentuali di Pil: ai valori attuali la cifra astronomica di 980 miliardi di euro.
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