MILANO, 31 marzo – I disturbi dello spettro autistico colpiscono circa 1 bambino ogni 100, spesso in associazione con altri disturbi come la disabilità intellettiva e sindromi genetiche o rare. Tuttavia tra i bambini che rientrano nello spettro di questi disturbi del neurosviluppo, solo 1 su 2 riesce ad ottenere un percorso diagnostico nei servizi pubblici di neuropsichiatria infantile, e solo 1 su 3 riesce ad ottenere una risposta terapeutica. E una volta superata l’età infantile e adolescenziale, meno di 1 su 10 riesce ad avere risposte da un servizio per l’età adulta.
A ricordare queste criticità, drammatiche, è la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) in occasione della “Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo”.
Il SINPIA ricorda infatti che nel nostro Paese, dopo la pubblicazione dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che per la prima volta hanno incluso in modo specifico i disturbi dello spettro autistico, deve ancora essere definito a livello istituzionale il tipo di risposta concreta che si vuole dare davvero agli utenti e alle famiglie.
Il vero problema per cui i LEA restano lettera morta- spiega uin documento del SINPIA – non è il mancato aggiornamento delle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, ma la mancanza delle condizioni che permettono l’effettiva erogabilità di interventi appropriati: personale sufficiente, in servizi con organizzazione adeguata e omogenea, che garantiscano la formazione permanente degli operatori sulle più recenti evidenze.
“L’aumento della consapevolezza – ha detto Antonella Costantino, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – è certamente un obiettivo importante che è stato raggiunto, gli ultimi anni hanno mostrato un incremento esponenziale di iniziative che si sono dimostrate assai efficaci nella sensibilizzazione della cittadinanza, nell’attivazione di reti di solidarietà e nel supporto all’inclusione. Altrettanto positiva è la sempre maggiore attenzione al coinvolgimento attivo dei genitori e dei contesti di vita e alla personalizzazione degli interventi a partire dalle migliori evidenze disponibili. Ma si può e si deve fare di più”.
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