Servizio di Alejandro
Vargas
CIUDAD JUAREZ, giugno -Dopo aver lasciato il suo lavoro nelle forze armate dell'Honduras, Hermes Espinoza, 46 anni, ha smesso di portare la sua l'uniforme militare che ha rappresentato per lui una barriera tra la vita e la morte, perché lo proteggeva da eventuali vendette della Mara Salvatrucha, perché a volte ha dovuto arrestare i diversi membri di questa organizzazione criminale che abitavano nel suo quartiere. Mara Salvatrucha (comunemente abbreviato in MS, Mara o MS-13) è un'organizzazione transnazionale di bande criminali associate, che ha avuto origine a Los Angeles e si è successivamente diffusa in altre regioni degli Stati Uniti, in Canada, in Messico, nel Nord dell'America centrale (Guatemala, El Salvador, Honduras), in Spagna e anche in Italia, a Milano, dove si sono verificati degli atti di aggressione da parte di membri della gang Latino-Americana MS-13. La maggior parte delle bande sono etnicamente composte da centroamericani (guatemaltechi, salvadoregni e honduregni) e sono attive nelle aree urbane e suburbane, danno supporto a cellule (cricche) localizzate in America Latina, con oltre 70.000 membri. Si noti che gli unici paesi centroamericani che sono riusciti a tenere fuori questo movimento sono Nicaragua, Panama e Costa Rica.
Le continue minacce contro la vita di Espinoza sono plasticamente rappresentate dal vecchio fucile che da soldato sempre lo ha accompagnato; però la situazione è diventata sempre più rischiosa ed Hermes ha così deciso all’etá di 21 anni, di abbandonare la sua patria e diventare un altro di coloro che cercano di attraversare il confine del Messico per raggiungere gli Stati Uniti (Trump non c'era ancora) in cerca di lavoro e di un rifugio, lasciando dietro di sé la madre e la sorella minore.
Una volta arrivato negli Stati Uniti ha lavorato in vari lavori temporaneamente e si è unito ad altri immigrati per cercare di affittare una camera con la difficoltà di non capire la lingua e senza avere sul suolo americano qualcuno a cui fare riferimento. Ha dormito in strada quando era senza soldi e alla fine è stato espulso in Messico, dove ha avuto una relazione con una donna,dalla quale è nata una figlia
Le condizioni della sua famiglia in Messico non erano delle migliori, così è ritornato al nord e ha riattraversa il confine, ma essendo recidivo è stato arrestato dalle autorità statunitensi e condannato a 37 mesi di carcere: dopo 28 è stato rilasciato per buon comportamento.
E’ tornato in Messico nel 2015 con l'intenzione di attraversare di nuovo il confine degli Stati Uniti; è arrivato a Torreon, grande città (un milione di abitanti)nello stato di Coahuila, dove i treni diretti a Chihuahua, nell’omonimo stato, si incontrano ed è salito su un convoglio come clandestino. Ma pagherà alla fine un prezzo molto elevato.
"In Gomez Palacio, nello stato di Durango – racconta Espinoza, con sentimenti contrastanti sul suo volto - il treno si è fermato e sono entrate alcune persone chi si chiamano “garroteros” per chiedere soldi. Avevo 15 pesos soltanto, così sono sceso e poi mi sono addormentato in attesa di un altro treno da prendere al volo fuori dalla stazione. Quando ho visto che stava passando, mi sono lanciato verso il convoglio, ho cercato di afferrare la maniglia di una portiera, sono salito sul predellino, ma le mani e i piedi mi hanno tradito e sono caduto sotto le ruote. E 'stato così che ho perso le mie gambe”.
Espinoza aggiunge che nei pressi del luogo dell'incidente c’era un campo di baseball dove alcune persone lo hanno soccorso chiamando un’ambulanza che è arrivata in pochi minuti e lo ha portato in ospedale riuscendo a frenare l'emorragia. La degenza è durata un mese e sei giorni. Ne è uscito vivo, ma senza gambe.
"A questo punto volevo regolarizzare le mia posizione qui in Messico. Gli addetti all’immigrazione mi hanno fatto qualche domanda, poi mi hanno comunicato che non mi avrebbero deportarli e mi hanno dato una residenza temporanea per quattro anni e poi ... eccomi qui” dice sulla sua carrozzella.
Espinoza non specifica in quale modo sia tornato a Ciudad Juarez, dove è una delle 103 persone che quest'anno sono residenti temporanei del rifugio Casa del Migrante. Tutto ciò che vuole è una protesi alle gambe perché così potrebbe lavorare: dimostra comunque uno spirito combattivo che non gli consente di rinunciare alle sue prospettive di vita, malgrado tutto quello che gli è successo. Fuori, c’è la vita caotica e difficile di Ciudad Juarez. Ma Espinoza, malgrado tutto, crede ancora nel suo futuro, anche se non più negli Usa.
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